felt
[1984, Cherry Red]

Ho sempre amato le canzoni ripetitive. Se hai un bel giro di chitarra, perchè non suonarlo per tre minuti senza cercare bridge, ritornelli, finali a sopresa?
Ho sempre amato le canzoni strumentali. Se hai un bel giro di chitarra che funziona senza voce, chi ti impone di piazzarci sopra delle parole?

Nel 1984 i Felt di Birmingham decidono di fare un mini-album di sei canzoni. Quattro sono strumentali. Tutte molto ripetitive. In un paio c’è la voce di Lawrence, che si chiama Lawrence e basta perchè ha deciso che nei credits il cognome non serve a niente. Weird guy.

I Felt li ascoltavo sempre durante un’estate di tanto tempo fa trascorsa a lavorare a Blackpool. Sarà che si adattavano al paesaggio. Mi annoiavano moltissimo, eppure non potevo farne a meno. Inquietanti i Felt, mistici e paranoici, intellettuali in dovere di citare film classici sulle copertine dei dischi, così posatamente britannici nello scrivere un pezzo di storia della musica inglese che qui pare non essere giunta. Che poi di album ne hanno fatti tantissimi, passando alla Creation di McGee e influenzando band come i Belle & Sebastian che li citano come suprema fonte di ispirazione.
Probabilmente antipaticissimi i Felt. Però in grado di creare un mondo a parte con poche note e i suoni giusti di quegli eighties fuori dalle classifiche delle periferie disagiate .
Questo è The Splendour of Fear. Titolo eloquente per un dischetto senza tempo, senza alcuna logica di mercato, intriso dell’emozione che ci trovate voi, molto intensa però.

Prendete lo strumentale Mexican Bandits. Non vi sembra che l’80% della roba che ascoltate (merda compresa) arrivi da qui?